
Con il risultato delle recenti elezioni comunali Marano compie un balzo all’indietro di venti anni e ripiomba di colpo in quello che è certamente stato il periodo più buio della sua storia cancellando quel poco del riscatto e del rilancio che era stato operato nei tredici anni dell’amministrazione Bertini e che si era salvato dal saccheggio del periodo Perrotta-Cavallo Un regresso sociale, culturale e civile che si era già preannunciato nelle pratiche messe in atto nella campagna elettorale e del quale si è avuto un primo avvilente assaggio nella provocazione becera portata alla sede del comitato elettorale di Mauro Bertini da un corteo che, sindaco in testa e consigliori al seguito, si era presentato tracotante e minaccioso, subito dopo la conta dei risultati, deciso a compensare sul piano muscolare un divario che diversamente non riescono a colmare.
Un confronto impossibile
In realtà un vero e proprio confronto politico fra la coalizione de L’Altra Marano e quella del Centrodestra non c’è stato e non avrebbe nemmeno potuto esserci per il semplice fatto che i due schieramenti si sono trovati posizionati da subito su livelli distanti fra loro e assolutamente non parametrabili.

Mentre i gruppi che sostenevano la candidatura di Mauro Bertini ponevano al centro del dibattito i valori programmatici della coalizione e mettevano in campo la forza delle loro idee e la credibilità dei loro progetti spiazzando il Centrodestra che su questo livello non aveva niente da dire, da parte della agguerritissima armata che sosteneva Angelo Liccardo si è puntato decisamente e senza attardarsi in bizantinismi ideali o politici a mettere in atto tutti i meccanismi e i sistemi del voto coatto, quelli che garantiscono il risultato prescindendo dai valori e dai posizionamenti politici e su questo piano a essere tagliata fuori da ogni possibile confronto è stata la coalizione di Mauro Bertini che è strutturalmente inibita e inabilitata a ogni tipo di pratica che rasenti anche tangenzialmente quel tipo di mondo
Lo scontro fra due culture
Visto che i termini del confronto non possono essere recuperati sul piano prettamente politico forse è il caso di spostare il punto di osservazione sull’ambito più propriamente sociologico e scoprire così che quello che si è verificato e che non è la prima volta che si viene a verificare è un vero e proprio confronto-scontro fra due culture contrapposte che permeano il vissuto cittadino e che tardano ad amalgamarsi grazie alla volontà pervicace e prevaricatrice di una delle due e alla apatia forse un po’ snob di molta parte della seconda.

Quella che ha prevalso nelle elezioni appena concluse e che, spostando solo il posizionamento politico, è la stessa che aveva determinato la elezione di Perrotta (centrosinistra) prima e di Cavallo (destra-sinistra spurio) poi, è la parte più ancestrale della città, quella che si riconosce nel criterio troglodita che
il paese è del paesano e che deve essere il paesano a “comandare”, quella di una paesanità gretta e stantia che attraversa un po’ tutti i partiti e li coinvolge in un sentire unico che annulla le differenze politiche, quella che cura fondamentalmente gli interessi dei gruppi e delle famiglie dominanti, quella che dispone di risorse economiche senza limiti, che utilizza gruppi di delinquenti prezzolati per staccare e coprire tutti i manifesti degli avversari, quella che controlla a fine serata della domenica elettorale chi è andato a votare per andare a recuperare manu militari chi non l’ha fatto il lunedì mattina, quella per cui ogni sistema è lecito se utile allo scopo; a contrastarla sull’altro versante dello scontro è stata la maranesità più progredita, quella che è riuscita a concretizzare una integrazione culturale e sociale al passo con i tempi, quella che ha una visione del mondo e delle cose più evoluta e moderna, quella per la quale Marano è Marano e basta, che fa campagna elettorale con classe e sobrietà, quella che in tanto si interessa della politica in quanto la considera uno strumento per la crescita armonica della città.
Sono queste due differenti culture che sono venute ancora una volta al confronto-scontro portando anche nella pratica della campagna elettorale i loro differenti modi di pensare e di agire, ma questa volta i numeri dell’una sono risultati molti vicini a quelli dell’altra dando il segnale di un progredire della parte più evoluta e un regredire di quella più retrograda cosa che lascia immaginare come abbastanza prossimo il sorpasso legato fondamentalmente a un maggior coinvolgimento di quei 28.000 che non sono andati a votare e, con il possibile sorpasso, vista la riduzione della parte più sciovinistica , una sempre più possibile e vasta integrazione.
Un governo paesano al 100%
I limiti angusti e asfittici in termini culturali e amministrativi dai quali sono compressi quelli che, avendo prevalso per pochi numeri nel confronto elettorale, si apprestano a governare una città di circa 70.000 abitanti dei quali almeno 45.000 non residenti storici risultano inequivocabilmente nella compagine che si è venuta a formare e che vede il Sindaco rigorosamente paesano, estrazione delle famiglie più radicate nel bene e nel male nel contesto storico della città; i 15 consiglieri comunali di maggioranza che sono tutti rigidamente paesani, i 7 assessori chiamati a formare la Giunta Municipale tutti e sette presi dalla paesanità più radicata e radicale: è stato eletto il governo di Marano o quello di Piazza Pergola? che futuro può avere una città affidata nelle mani di gente che non si è ancora accorta che siamo nel ventunesimo secolo e che la storia si sta evolvendo verso una pluralità che è ricchezza culturale e progresso?
Ecco perché parliamo di ritorno al passato.